La psicoterapia breve strategica
Il Dott. Italo Conti ci illustra le potenzialità della Brief Strathegic Therapy:
La psicoterapia breve strategica (BST) è una elaborazione permanente (ancora oggi si continua a
sperimentare e fare ricerca, in tutto il mondo) di una serie di
approcci multidisciplinari, che prendono avvio da un progetto di
ricerca antropologica, realizzato fra il 1952 ed il 1962 presso il
Veteran Hospital di Menlo Park, Palo Alto, (California, USA),
riguardante le teorie del noto antropologo Gregory Bateson sulla
matrice interattiva dei disturbi mentali.
I riferimenti multidisciplinari, a quel tempo, comprendevano i principi
della teoria dei tipi logici (Russell – Whitehead, 1911 – 13), la
cibernetica di primo e secondo ordine (Ashby, 1956), i principi della
teoria dei sistemi, (Von Bertalanffy, 1950), oltre, ovviamente,
l’antropologia, la psicologia, e la psichiatria.
A parte Bateson, l’equipe comprendeva Jay Haley, John Weakland, e Don D. Jackson, il quale ultimo poi fondò, appunto all’inizio degli anni ’60, il Mental Research Institute di Palo Alto, cioè la meglio nota “Scuola di Palo Alto”.
Una delle innovazioni più importanti riguardava le “cause” della psicopatologia, cioè dei disturbi mentali, sia a livello di nevrosi che di psicosi: si metteva in discussione l’idea che fosse il “passato” a produrre i disagi nella persona, e si analizzava il presente, ed in particolare i modelli di interazione e comunicazione con “sé stessi, gli altri, il mondo”.
In altre parole, si esaminavano nella relazione i processi comunicativi attraverso i quali si stabiliscono legami disfunzionali, e le cause della loro persistenza in un “sistema” familiare che, come ogni sistema, tende a trovare, attraverso dei procedimenti omeostatici, un equilibrio quale che sia, una stabilità anche se a carissimo prezzo per uno (il cosiddetto “paziente designato”) o più dei membri del sistema stesso.
L’attenzione quindi veniva spostata dal passato al presente, ed ai processi comunicativi, anche per merito del fondamentale testo di Watzlawick, Beavin e Jackson “ Pragmatica della comunicazione umana”,, pubblicato nel 1967.
Nel periodo recente, ulteriori contributi alla BST vengono dal “costruttivismo radicale” (H. Von Foerster, E. Von Glaserfeld, , Maturana e Varela, P. Watzlawick 1973 – ’81).
Che significa tutto ciò, in termini pratici, cioè in termini psicoterapici?
In primo luogo, che dobbiamo concentrarci sulle “soluzioni tentate” per capire i motivi della persistenza di un problema: se una persona va in terapia, è soltanto perché le soluzioni che ha senz’altro provato ad adottare per superare il problema non sono state efficaci, ma non solo.
Probabilmente, o nella maggior parte dei casi, sono le soluzioni inefficaci che stabilizzano la disfunzione.
In secondo luogo, che se riusciamo a sostituire la soluzione inefficace con una efficace, il problema o si risolve, o comunque riduce le sue dimensioni.
In terzo luogo, che tutto questo può avvenire in tempi molto brevi, o comunque ridotti rispetto alle psicoterapie classiche, che durano in genere almeno un anno.
Un ulteriore aspetto distintivo della prassi della psicoterapia strategica si riferisce da un lato alla costruzione della relazione con il cliente, che è vista anch’essa in termini evolutivi, e che prevede, nella prima fase della terapia, l’uso di un modello comunicativo “persuasivo”, cioè il terapeuta influenza il cliente, (cosa che comunque avviene sempre, in qualsiasi modello d’intervento) al fine di renderlo più collaborativo nell’esecuzione di compiti , utilizzando un linguaggio ed un tono di voce che prendono spunto dal modello ipnotico di Milton Ericson (ipnosi senza trance);
dall’altro, all’attenzione ed applicazione, sempre nella relazione col cliente, dei criteri della “logica emotiva” .
In sostanza, quando una persona si trova in un disagio o problema le cui radici stanno non già nella logica razionale, ma nelle emozioni, (come del resto succede sempre, in quanto, se così non fosse, tutti saremmo in grado di risolvere razionalmente i problemi, prescindendo dalle emozioni che invece li strutturano), è assolutamente inutile applicare le “soluzioni razionali”: si utilizzerebbe infatti uno strumento che è non collegato alla configurazione emotiva del problema, e perciò inservibile.
Come disse P. Watzlawick, “potete dire ad una persona depressa: < ma guarda che bella giornata è oggi, c’è il sole, gli uccellini cinguettano, in fondo, la vita è bella! >;
pur affermando una cosa vera, non otterrete di alleviare la sua depressione, ma al contrario, la persona si abbatterà di più, proprio perché non si sente capita”.
Per dare un esempio di quest’ultimo aspetto della prassi della BST, racconto una esperienza di circa un anno fa con un ragazzo che venne da me perché, lavorando da alcuni mesi in un bar, non riusciva più a tollerare le vessazioni di un collega, barista anche lui, che continuava a criticarlo per le sue presunte incapacità, disattenzioni, scarso impegno, etc.
Ogni tentativo razionale di far smettere il collega, era fallito; e sì che il ragazzo aveva provato con le buone, con le meno buone, si era rivolto al gestore del bar, tutto però senza ottenere altro che una esacerbazione dei comportamenti vessatori.
La soluzione a questo punto, era quella di lasciare il lavoro, ma, prima di sceglierla, anche perché per tutto il resto le cose andavano bene, si decise a venire da me.
Io mi informai sui suoi tentativi, e sugli effetti di questi; poi, gli proposi di fare una prova con un altro metodo, dicendo e facendo qualcosa di diverso da quello che aveva fatto finora;
mi disse che era venuto per questo, e quindi dichiarò la sua disponibilità.
Gli dissi perciò che, a partire dall’indomani mattina, ad ogni critica del suo collega lui avrebbe dovuto esortarlo a continuare, invece che esortarlo a smettere; questo, perché “solo ieri lui si era reso conto di quanto queste critiche del collega lo aiutassero ad avere una performance accettabile, e che senza le critiche lui avrebbe fatto un pessimo lavoro, quindi, che non si limitasse, più lo criticava, meglio era”.
Potete immaginare la meraviglia, e anche lo sconcerto del ragazzo, che sulle prime mi rispose “ma come, dovrei chiedergli di fare proprio quello che voglio che lui smetta di fare?”
La mia risposta fu “non solo chiederglielo: dovrai, garbatamente, ordinarglielo”, e questo, in modo sistematico; cioè, ogni volta che lui ti criticherà, dovrai ringraziarlo, ed esortarlo a non risparmiarti le critiche, perché così ti aiuta a migliorare”.
Alla sua domanda “ma cosa dovrebbe succedere?”, risposi “non lo so, so che questo metodo tu non lo hai ancora applicato, quindi è qualcosa di nuovo e diverso da quello che hai fatto finora, e che non è servito”
La settimana successiva, il ragazzo tornò in seduta, riferendomi che il collega non solo l’aveva smessa di tormentarlo, ma gli aveva chiesto scusa, e aveva spiegato le sue vessazioni con il fatto che stava da mesi in crisi con la moglie, che aveva una storia con un altro…
La probabile interpretazione dell’effetto risolutivo di questa manovra sta nell’uso di un criterio della logica emotiva, che è quello della ordalìa: se una persona fa qualcosa di eccessivo e non riesce ad impedirselo (oppure non riesci ad impedirglielo) ragionandoci, prova ad imporgli di fare proprio ciò che fa spontaneamente; potrebbe, proprio perché ha perso il controllo su quel comportamento, attenuarlo o abbandonarlo.
P. Watzlawick, in uno dei suoi testi successivi al “Pragmatica della comunicazione umana” (mi pare sia “Change”), racconta un episodio vero, successo nella prima metà del 1900 in una città dell’Austria (P.W. è nato in Austria, negli anni’20), nel quale un gendarme salva la vita di un ragazzo che tentava il suicidio: una domenica d’inverno, all’uscita dalla messa, un ragazzo di circa 25 anni sale sulla spalletta del ponte sul fiume, e dichiara agli attoniti passanti che si vuole uccidere, gettandosi nel fiume “gelido e vorticoso”.
Si tenta di dissuaderlo, con i soliti motivi (sei giovane, hai tutta la vita davanti, etc), ma se qualcuno si avvicina, lui minaccia di gettarsi; uno dei presenti, per buona misura, va a chiamare un gendarme, che arriva immediatamente sul posto, ma troppo tardi.
Infatti il giovane si è gettato nel fiume, ed annaspa. A quel punto il gendarme si sporge dalla spalletta del ponte, estrae la pistola, mette il colpo in canna, e intima: “esca immediatamente dall’acqua, o sparo” (va detto che non è una barzelletta sui Carabinieri, è successo veramente così).
Il ragazzo obbedisce, e si salva.
Per ulteriori approfondimenti
http://www.italoconti.it/
|