Psicologia e alimentazione. Quando il cibo è una droga
Che relazione c'è tra cibo e psicologia? La D.ssa Sara Ascoli, counselor biosistemico, ci guida alla scoperta di questo legame complesso. Il cibo, al pari di una droga, può scatenare forme di dipendenza: anoressia e bulimia, ma non solo. Il cibo e l'alimentazione, in psicologia, si relazionano al nostro stato d'animo ed hanno il potere di interferire con esso. Vediamo come in questo interessante articolo concentrato soprattutto sulla dipendenza da zucchero e dolci.
Quando si parla dello stretto legame tra cibo ed emozioni o stati d’animo, si finisce quasi sempre per parlare di anoressia e bulimia.
Non questa volta.
Questa volta parliamo innanzi tutto di tossico dipendenze.
Dipendenze di massa con spacciatori invisibili. Parliamo dell’onnipresente zucchero (il saccarosio, lo zucchero bianco ma anche quello integrale, di canna, in cristalli, etc., i dolcificanti di sintesi, il miele, i malti, gli sciroppi, il succo d’agave, etc).
A lui si devono l’80% dei nostri stati depressivi; l’incapacità di affrontare lo stress; alcuni attacchi di panico; nevrosi, allucinazioni, pensieri ossessivi; ruminazioni cerebrali; scatti d’ira; violenza immotivata; perdita di energia; pigrizia; repentini cambi d’umore; dipendenze affettive; riduzione della volontà; mancanza di concentrazione; scarsa memoria; nervosismo; capricci (nei bambini, ma non solo); iperattività; irrequietezza; scarsa autostima; difficoltà nel relazionarsi all’altro e scarsa empatia; sensazione che nulla possa darci gioia o piacere; sonnolenza immotivata; incapacità di realizzare i nostri intenti; stanchezza; alcuni attacchi di tachicardia; alcune aritmie; allergie; intolleranze alimentari; emicranie; dolori muscolari; denutrizione; carenze vitaminiche; carie dentale; nausee; fame nervosa; sindrome premestruale, dolori ovarici; gonfiori addominali; problemi ormonali; obesità o predisposizione all’obesità; diabete mellito; ipertensione; acne; emorroidi, rallentamento della digestione, etc...
Lo zucchero è una droga, o piuttosto un veleno, in grado di creare dipendenza proprio come la nicotina, il caffè, l’alcool, gli psicofarmaci ed i narcotici. “Piccole dosi di narcotici possono cambiare un comportamento fisico e mentale molto rapidamente. Gli zuccheri ci mettono un po’ più tempo, qualche minuto nel caso di uno zucchero semplice, liquido, come l’alcool, fino a diversi anni per altri tipi di zuccheri”.1
Molte persone sono assuefatte al dolce tanto da non poter mangiare o bere senza l’aggiunta del dolce. Molti sono dominati perennemente dal desiderio di qualcosa di dolce (con conseguente ipersalivazione, senso di vuoto allo stomaco, ipoglicemia, debolezza, etc...).
“Poiché lo zucchero (il glucosio, non il saccarosio) viene richiesto dal metabolismo come naturale donatore di vita, i nervi sensoriali del gusto situati sulla lingua e sulla mucosa del palato reagiscono con un potenziale di dipendenza. Lo smodato desiderio di dolci non ha nulla a che fare con una debolezza caratteriale: siamo di fronte ad una dipendenza vera e propria: una malattia.”2
Lo zucchero è ovunque: nel dentifricio, nel pane, nella pasta, nelle carni, nel prosciutto cotto, talvolta nel sale, nelle sigarette, nelle bevande gassate, negli alcolici, nei succhi di frutta, nei prodotti inscatolati, nella pizza, nei formaggi, nel latte, negli yogurt, gelati, marmellate, wurstel, maionese, ketchup, salse pronte, zuppe pronte, formaggi da spalmare, insalate pronte (di pesce e di carne); condimenti pronti; salsicce, ravioli industriali, e in tutti i dolciumi e in moltissimi rustici.
I nomi sotto i quali si cela sono tantissimi: destrina, destrosio, maltodestrina, sorbitolo, xilitolo, mannitolo, smaltitolo, isomaltolo, isomaltitolo, lactitolo, isoglucosio, miele, sciroppo di glucosio, esosi, galattosio, levulosio, fruttosio, etc..
Anticamente, migliaia di anni fa, lo zucchero era sconosciuto all’uomo: i testi antichi non ne parlano. Poi dovette fare la sua apparizione in India e, come il miele, lo si usava esclusivamente in medicina. Non era un alimento (come non lo era il miele), bensì un farmaco miracoloso. “...Nessuna meraviglia che uomini di medicina arabi e giudei usassero lo zucchero raffinato in quantità insignificanti aggiunte alle loro ricette: sapevano che dava alla testa, facendo passare istantaneamente corpo e mente da uno stato di spossatezza a uno di allucinazione. La lavorazione ed il commercio ebbero inizio circa nel 600 d.C.”3
Personalmente ho incominciato a lavorare sullo zucchero alcuni anni fa. Notavo che circa 20 minuti dopo la sua assunzione ero più suscettibile, con picchi di ansia; il battito cardiaco accelerato, etc... Iniziai allora a indurmi delle astinenze per poi riprendere di nuovo con la dipendenza. Gli effetti che notavo sul mio carattere e la mia personalità erano strabilianti. Quando smettevo (dopo il doloroso periodo di disintossicazione) il mio pensiero era più lucido; le mie reazioni più rapide; avevo più energia, svanivano tutta una serie di piccoli disturbi psicologici e fisici, i miei sensi erano più desti: mi sembrava di sentire la musica e gli odori in modo differente, la mia percezione era più affinata... non ero più stordita. Il mio umore era stabile e le mie reazioni di fronte ai disagi erano rapide. Non “ristagnavo” in un malumore o in stati depressivi. Ero più allegra e felice. Quando riprendevo a drogarmi incominciavo a sentirmi depressa, stanca... sempre di corsa dietro al tempo che non bastava mai; affamata di affetto e bisognosa di rassicurazioni; irrequieta, incline alla lite; con pensieri ossessivi e l’incessante lavorio mentale che mi estenuava.
Pensai che se questo capitava a me, nonostante la mia formazione, il mio lavoro e la consapevolezza relativa agli effetti della droga che assumevo, poteva capitare ad altre persone, vittime ignare della loro tossicodipendenza.
Presi a documentarmi e a raccogliere materiale, esperienze analoghe alla mia o peggiori, più drammatiche. Ci sono vite interamente orientate dallo (e allo) zucchero. Menti e corpi interamente soggiogati dalla biochimica sottostante l’assunzione di zuccheri.
Oggi ho iniziato a “lavorare sullo zucchero”. A chi viene da me con una dipendenza accertata chiedo di provare a smettere, ed insieme stabiliamo il programma.
In genere dopo un paio di settimane le persone si sentono più forti, più padrone delle loro vite; in grado di prendersi cura di sé stesse, e... la cosa più sorprendente è il cambiamento di prospettiva che si attua nelle loro esistenze. Inizialmente parlano dei loro problemi insormontabili, di come siano rassegnati di fronte all’ineluttabile, agli ostacoli che costellano le loro vite. Mentre dopo la disintossicazione i problemi sono difficoltà, disagi da superare e nulla più.
Talvolta è capitato che alcune persone, dopo i primi tentativi di disintossicazione, imparino a riconoscere una parte di sé che prima ignoravano. Accade che , se da principio descrivevano se stessi come irrequieti, inconcludenti, insicuri, ansiosi, tendenti alla rimuginazione mentale, dopo aver aumentato gli intervalli di tempo tra una dose e l’altra, scoprono effettivamente di non essere così come avevano pensato sino a quel momento. Definiscono quegli aspetti del loro Sé come una Maschera, o l’Altra Parte: quella dipendente, quella risultante dagli effetti altalenanti della dose o dell’astinenza.
Iniziano così a scoprire una personalità nuova, più salda, centrata, sicura, con una spiccata forza di volontà: un nuovo Sé che si fa strada nei sempre più ampi intervalli tra un biscotto ed un chewingum (apparentemente) senza zucchero.
Per maggiori informazioni
D.ssa Sara Ascoli
www.haras.it
In Immagine: Hieronymus Bosch, Il giardino delle delizie: l'Inferno, 1480-1490.
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