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Separazione maternaDalla separazione materna all’individuazione: il cammino sciamanico come passaggio dall’autopoiesi alla mitopoiesi

La nascita è il momento in cui la notte diventa giorno, il sonno diventa sogno, il cuore diventa amore. È l’attimo della creazione autopoietica, la fuoriuscita dal magma dell’indifferenziato caos, la scelta di una delle infinite potenzialità dell’essere.

La nascita comincia già nella testa e nel cuore dei genitori, si concretizza nella fecondazione e prosegue nell’autocoscienza: un processo che richiede un lungo periodo di esperienze ripetute e di conflitti emotivi. Si può allora immaginare che si nasca a se stessi con la percezione di un primo oggetto differenziato dal Sé, coincidente con la prima esperienza di separazione dalla madre. Fare il primo passo comporta l’andare verso il primo bivio: ad ogni biforcazione cresce il livello di libertà e quello di responsabilità personale, ad ogni scelta si allontana la casa natia e si va in terra straniera. Ad ogni passo si va verso la rivelazione allocentrica della morte che cresce nella vita: l’Io terreno si gonfia di sogni come una mongolfiera che sale per raggiungere il sole e le stelle. La scienza e gli altri marchingegni della civiltà aiutano a salire, ma giunge prima o poi il giorno della presa di coscienza: con questi mezzi non si può andare oltre l’atmosfera umana. La ricerca del senso della vita prende allora un’altra direzione, quella della discesa agli inferi, il ritorno nella terra, la ricerca di una guida. Le tecniche sciamaniche permettono di toccare i confini con l’Altro, zone abitate da possibili alleati per la propria ricerca, luoghi di forze da cui si può attingere la luce dell’unità per riemergere mondati dal mare nero della separazione. Si parte dalla dualità per giungere all’unità, dove la dualità corrisponde alla duplicazione e l’unità alla metamorfosi: “Il doppio e la metamorfosi non sono affatto aspetti antagonisti dell’essere. Bisogna duplicarsi per trasformarsi. [...] Come l’iniziazione esprime la necessità di morire per rinascere su un piano trascendente, la possessione mostra che l’uomo può duplicarsi per incarnare le divinità, e che le divinità devono moltiplicarsi per manifestarsi concretamente” (Augras, M., Le double e la métamorphose. Paris: Méridiens Klinksieck, 1992, p. 290).

Questo cammino di iniziazione porta alla conoscenza per paradossi, all’ampliamento dell’architettura concettuale e ad una contemporaneità temporale che è dilaniante per il proprio Io: aggrappato a tutto ciò che lo vedeva protagonista, cade ora nella voragine dell’indifferenza. Tutta la strada fatta sembra non essere valsa a nulla, tutte quelle scelte meri accadimenti casuali, tutto il divenire inutile speculazione. Ma “così in basso come in alto”: proprio l’ampliamento della consapevolezza dà principio al cammino trasversale dell’espansione del sè. Il caos disaggregante porta ad una pluralità ermeneutica dalla quale può nascere l’ispirazione mistica ed artistica:

“L’istituto magico della vocazione, del sentirsi chiamato, dell’identificazione degli spiriti, del loro padroneggiamento attraverso uno sforzo assiduo, la presenza di una trama tradizionale di temi e di figurazioni, di riti e di pratiche che aiutano ad interpretare la chiamata, a leggere, per così dire nel caos minaccioso il cosmo di forme culturalmente sifnificative; tutto ciò arresta nel fatto la dissoluzione, ha un’efficacia soterica reale. L’esserci esce dal conflitto uno in più, o più in uno, ma in guisa che l’uno non si perde nei più, e in guisa che i più ubbidiscono all’uno.” (Ernesto De Martino, Il mondo magico, Bollati Boringhieri, Torino, 1973).

 

Inizia il disinvestimento dai ricordi belli e brutti, si perdono vizi e virtù, le dipendenze non hanno più il loro potere attrattivo. L’avallamento emotivo dell’Io provoca la riemersione dello spirito che porta con sè i doni della permanenza luminosa, dell’intuizione focalizzata, della conoscenza perenne, della sintesi creativa, dell’estasi intesa nel senso etimologico della parola: ek-stasis, esco fuori di me:

“Durante l’estasi il grado di sdoppiamento della personalità e la eliminazione degli elementi coscienti sono variabili, ma in ogni caso vi sono dei limiti nei due sensi, cioè lo stato dello sciamano non deve trasformarsi in una crisi isterica incontrollata, nè d’altra parte l’estasi deve essere soppressa: infatti sia l’accesso isterico incontrollato, sia la soppressione dell’estasi non consentono la regolata attività della personalità seconda e la relativa autonomia del pensiero intuitivo.” (Shirokogoroff, S.M., The Psychomental Complex of the Tungus, London, 1935).

 

L’uscita dal sistema autocentrico di pensiero permette alla mente di sciogliere i suoi nodi prendendo consapevolezza dei fili che governano i ruoli cronicizzati dell’esistenza. Dal silenzio nasce la possibilità di riflessione sul sistema e di creazione della giusta melodia: l’unione dei suoni compone la musica celestiale, incarnazione dell’Amore nel tessuto di risonanza umano relazionale. A questo punto la trasformazione in medicine-men, in sciamani, è la risultante della chiamata estatica, dell’essere sopravvissuti al dilaniamento dell’Io, dell’aver prestato il proprio corpo all’Altro.

La coscienza di sè è l’immagine che danza nell’armonia celeste, i cui gesti non hanno intenzioni egoiche ma essenzialmente un intento: raggiungere, a partire dagli eventi di pura coscienza, lo stato mistico unitivo, dal quale può nascere il linguaggio dell’anima. Muoversi nel flusso transpersonale significa seguire la corrente transgenerazionale con la consapevolezza di fare parte di un organismo collettivo, di cui si è parte e tutto contemporaneamente: essere guidati è guidare. Diventati ciò che si è, una lingua universale parla consapevolmente di sè e degli altri uniti dall’immediatezza dell’esserci: una continuità esistenziale che si afferma come metodologia mitopoietica archetipica.

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