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La depressione: ascoltare il vuoto interiore
La depressione, che cos'è? Da cosa e come nasce? Per quale motivo possiamo definirla come un vuoto interiore? Questi e altri interrogativi ce li spiega la dottoressa Virginia Salles, psicologa e psicoterapeuta di formazione junghiana e transpersonale che opera e vive a Roma.
Come si riconosce questo “male oscuro” attualmente così diffuso? Chiamata anche
“malinconia” che nel tardo latino significava “bile nera”, uno dei quattro umori
che gli antichi credevano generarsi nell’organismo umano, la depressione è quel
senso di abbattimento delle forze, di avvilimento dell’animo, quell’umore
appunto “nero”, tetro, cupo, un sintomo comune alle più svariate forme di
psicopatologie. Sofferenza questa particolarmente evidente in quella forma più
grave di disagio psicologico che viene definita “psicosi maniaco-depressiva”.
La depressione
può essere di tipo reattivo, cioè può sorgere come reazione ad un avvenimento
doloroso, traumatico come un lutto, un incidente, etc, o del tipo esistenziale
(endogeno) che accade senza un motivo apparente, tipologia questa particolarmente
interessante per il suo profondo significato e la sua dinamica propulsivo-
trasformativa.
La descrissero
Dante, Boccaccio, ne soffrirono Leopardi, Proust, Ciaikovski, Virginia Wolf e
molti altri artisti e personalità creative. Da un certo punto di vista la
depressione può essere considerata come un momento evolutivo molto fecondo, un
momento di apertura alla riflessione e all’introspezione, momento in cui siamo,
in un certo senso, chiamati a volgere lo sguardo verso l’interno, verso le
profondità dell’anima alla ricerca del senso perduto. La depressione è un
“sintomo” di un vuoto interiore che esprime un bisogno di cambiamento, e l’impossibilità di attuarlo
non è una malattia, ma una sofferenza alla quale bisogna dare voce e saperla
ascoltare: è una domanda che la persona sofferente fa a se stessa attraverso
quel dolore intimo e raccolto, quello sguardo assente, perso, di chi non riesce
più a scorgere la via. Una domanda disperata che esige urgentemente una
risposta.
Che cosa domanda la persona depressa a se
stessa o al mondo con la sua sofferenza?
Chi soffre di
questo male dell’anima ha una ferita aperta e
un conto in sospeso con la vita. Soffre perché ha rimosso, abbandonato
la propria dimensione più autentica che è anche quella più creativa. Una grave
offesa all’immagine di sé sta all’origine di questa ferita aperta, un profondo ed
inconscio sentimento di non essere stati amati dalle persone più importanti e
significative della propria esistenza. Quindi, per poter sopravvivere senza
esporsi ad ulteriori ferite, il bambino e l’adulto che ne segue ha imparato a
soffocare i sentimenti, con il conseguente disagio dell’anima e il “vuoto interiore”.
Cosa può essere utile per uscire dalla
depressione e quindi dal vuoto interiore?
Attraverso
questo guardare verso l’interno la persona sofferente cerca dentro di sé, in un
mondo sepolto, l’affetto smarrito, le proprie emozioni che sono l’essenza e il
nutrimento della vita psichica. Questo mondo ha il suo linguaggio, il
linguaggio dei simboli, attraverso il quale possiamo comunicare e esprimere
tutto ciò che non può essere mai completamente tradotto in parole e che lo
psicoterapeuta del profondo può rintracciare insieme all’analizzando nei suoi
sogni, nelle sue fantasie, ma anche attraverso svariate forme di espressione
dei vissuti interiori: la recitazione, la poesia, il disegno o la pittura.
Picasso usava “colori arbitrari” per esprimersi con maggiore forza e gli
impressionisti esasperavano le pennellate per esprimere “l’ineffabile mistero…”
Affinché
questo percorso individuale di “divenire se stessi” avvenga, è necessario che
il terapeuta comprenda e “contenga” l’analizzando in questo doloroso
“scrollarsi di dosso tutto ciò che non gli appartiene” e lo avvii ad un dialogo
con la propria dimensione interiore attraverso il discorso simbolico,
ripristinando così l’antica frattura che aveva causato il suo vuoto interiore.
L’espressione
dei vissuti e il dialogo con le proprie immagini interne, sia nel corso di una
terapia analitica individuale, che anche attraverso l’auto espressione (le
“piccole arti” di tutti i giorni), sviluppano una modalità esistenziale più
autentica, favorendo così l’autostima, l’espressione di sé e di quelle funzioni
creative rimaste soffocate dalla rimozione e portando ad un miglioramento
complessivo della persona depressa.
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