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Sei in Psicologia » psicologia » Che cos’è la Psicomotricità?
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Istituto di psicomotricitàUn incontro virtuale con Anne-Marie Wille

Il termine di psicomotricità sarebbe stato inizialmente coniato in Germania nel 1844 da Wilhelm Griesinger, fondatore della neuropsichiatria. In seguito, è stato ripreso dal neurologo Jean Dupré in Francia, all’inizio del XX secolo per descrivere fenomeni patologici nei quali il ritardo mentale e quello motorio costituivano due aspetti di una medesima alterazione. Jean Dupré diede il suo nome ad una particolare sindrome, la débilité motrice di Dupré che consiste in una particolare forma di goffaggine presente sia nel bambino che nell’adulto e che può essere associato, ma non in tutti casi, a ritardo mentale.

In seguito, il concetto di psicomotricità si è sviluppato in diversi campi di ricerca: pedagogia, psichiatria e psicologia in cui si studia e si considera l’essere umano nella sua interezza in ogni sua manifestazione. In particolare la psicomotricità di concentra sull’osservazione del vissuto corporeo dell’individuo e sul suo comportamento motorio.

L’autore che ha contribuito maggiormente a porre le basi della psicomotricità del secolo scorso è stato di sicuro lo psichiatra Julian de Ajuriaguerra che, negli anni Sessanta ha rivoluzionato l’ottica della psichiatria nei confronti dei disturbi del bambino, sottolineando l’interazione tra le loro diverse componenti:

  • La componente dell'organizzazione dell'attività motoria che si sviluppa nel bambino secondo tappe predeterminate: il tono muscolare, l’equilibrio, la coordinazione dei movimenti si evolvono nel corso dell’infanzia fino a stabilizzarsi alla soglia dell’adolescenza. Le disabilità che si riferiscono a questa sfera comprendono ad es. ritardi dello sviluppo motorio, goffaggine;
  • La componente emotiva che si manifesta nell’espressione corporea della persona, nel proprio vissuto corporeo che si esterna nel linguaggio non verbale: stato tonico, tipo di postura, di gestualità, autopresentazione, (modo di atteggiarsi, di abbigliarsi, ecc.) che sono i fattori determinanti della modalità di comunicazione sociale di ciascun individuo. I problemi relativi a
  • questa sfera riguardano ad es. l’inibizione psicomotoria, alcune forme di maldestrezze, alterazione della percezione del proprio corpo, stati di tensione, depressione, ecc...
  • La componente cognitiva. Questa componente entra in gioco quando il movimento richiede una programmazione intenzionale dell’ordine della sequenza di singoli movimenti da compiere in funzione di uno scopo fissato in partenza e del loro controllo cosciente durante la loro esecuzione (ad esempio confezionare un pacco). Si tratta di un insieme di azioni definite prassie. Le difficoltà prassiche si possono manifestare nell’apprendimento della scrittura, nella riproduzione di modelli (geometria) e anche nell’esecuzione delle attività manuali del quotidiano (vestirsi, cucinare ecc..).

Ajuriaguerra ha definito i diversi disturbi psicomotori: tra cui l’instabilità psicomotoria, l’inibizione psicomotoria, la già citata débilité motrice di Dupré, le difficoltà prassiche, la dislateralità, i tic e alcune forme di balbuzie.

Parallelamente alle ricerche neuropsichiatriche, fino ai giorni nostri si sono creati diversi metodi educativi e terapeutico- riabilitative rivolti sia al bambino che all’adulto. Le tecniche maggiormente in uso vanno dalla ginnastica a corpo libero e con attrezzi, la ritmica, alcune forme di rilassamento e di massaggio, il dialogo tonico, il gioco motorio e il gioco simbolico, l’espressione corporea e la drammatizzazione, l’espressione grafica, agli esercizi di percezione del corpo, di percezione spaziale e di organizzazione delle azioni finalizzate. E’ inoltre sempre più frequente l’intervento psicomotorio in ambito acquatico e la sua integrazione in ippoterapia.

Lo psicomotricista: Pur essendo differenti, il denominatore comune tra queste tecniche è la articolare modalità di interazione corporea dell’operatore, lo psicomotricista, con il paziente al momento della loro applicazione. Lo psicomotricista ha una specifica formazione al riguardo: è uno specialista del movimento espressivo e guidato che possiede un buon controllo sul proprio linguaggio corporeo, sia a livello di agilità che di comunicazione non verbale. Lo psicomotricista deve saper coinvolgere e interessare il paziente ai contenuti del proprio intervento in modo da sostenerlo nello sforzo adattivo che ogni riabilitazione comporta. E’ quindi anche nella capacità di sintonizzazione emotiva e corporea dello psicomotricista con il paziente che risiede la funzione curativa dell’intervento senza la quale l’intervento perderebbe il suo significato e quindi la sua efficacia.

Di conseguenza, qualunque siano le tecniche adoperate ed il metodo scelto, essi richiedono:

  • L’implicazione corporea dello psicomotricista: egli non “assiste” all'attività del paziente; agisce con lui o in rapporto a lui;
  • La capacità dello psicomotricista di usare le tecniche possedute in modo non meccanico, ma adattandole volta per volta alle caratteristiche individuali di ogni paziente.
  • La conoscenza delle implicazioni relazionali ed emotive dell'intervento psicomotorio e una grande prudenza nel manipolare i comportamenti osservati.

E’ necessario sottolineare la specificità dell’intervento psicomotorio in relazione ad altre forme di riabilitazione quali la fisioterapia, la terapia occupazionale, la logopedia e la psicoterapia.

A chi è rivolto l’intervento psicomotorio?

In età evolutiva si rivolge in modo particolare a bambini con ritardi e/o difficoltà di coordinazione motoria, di organizzazione dell’atto intenzionale (disprassie), iperattività, gravi disturbi della comunicazione sociale (in particolare il disturbo autistico), inibizione psicomotoria, alcune difficoltà di apprendimento come le disgrafie, e a tutti quei disturbi conseguenti a malattie neurologiche, psicologiche o psichiatriche che alterano l’utilizzazione, la percezione e il coinvolgimento del corpo nella vita quotidiana. Esiste altresì l’ambito della prevenzione e dell’educazione psicomotorie del bambino sano, specie per i bambini del Nido e della Scuola Materna. Nella Scuola Primaria, l’apporto psicomotorio può essere prezioso per facilitare alcuni apprendimenti scolastici come la scrittura, l’aritmetica, e in seguito la geografia e la geometria.

In età adulta l’intervento psicomotorio si rivolge a persone con cerebrolesioni lesioni acquisite in seguito ad ictus, traumi cranici, e anche a malati psichiatrici affetti da nevrosi e psicosi. In altri casi l’interventi psicomotorio fa da supporto a tutti gli stati di difficoltà legate all’uso e alla percezione del proprio corpo (ad esempio l’anoressia) e ai disturbi della sfera sessuale o di contatto sociale. Sempre più inoltre, l’intervento psicomotorio viene inserito nelle attività rivolte a soggetti con tossicodipendenza.

Nell’anziano sano, esso aiuta a rallentare il processo di involuzione motoria mentre quando è rivolto all’anziano affetto da diverse forme di demenza (in particolare la malattia di Alzheimer) l’intervento psicomotorio sia individuale che di gruppo è un aiuto prezioso per mantenere e talvolta risvegliare le capacità residue di interesse per l’azione pratica e per l’interazione sociale.

Come procede l’intervento psicomotorio?

In una prima fase, l’intervento mira soprattutto ad attivare le potenzialità del soggetto, sviluppando le sue capacità di comunicazione e di espressione In una seconda fase l’intervento affronta le specifiche difficoltà del paziente con particolari metodiche mirate al loro recupero che sollecitano le diverse aree funzionali psicomotorie coinvolte nel disturbo presentato dal paziente: coordinazione motoria, percezione del corpo, manualità, percezione dello spazio, percezione del tempo, rappresentazione grafica.

L’esempio di due casi clinici: quello di un bambino e quello di un adulto può aiutare a capire meglio la specificità dell’intervento psicomotorio.

Due casi clinci.

Caso 1: B. è una ragazzina di sei anni. La sua diagnosi clinica è iperattività e ritardo grafomotorio (disegno). La valutazione psicomotoria ha evidenziato una modesta goffaggine nei movimenti globali, una difficoltà di equilibrio da non imputasi a problemi di ordine strettamente neurologico, bensì ad un’incapacità di inibizione dell'impulsività. I movimenti di B. sono massicci, mal dissociati, eseguiti ad altissima velocità e si deteriorano facilmente. Spesso si butta a terra oppure gira vorticosamente su se stessa. I movimenti settoriali degli arti sono maggiormente compromessi di quelli globali: in particolare le attività di coordinazione oculo-manuale (ad es. attività con la palla) e le attività grafiche, quali il disegno spontaneo e l’apprendimento della scrittura. Non è solo la manualità ad essere poco efficiente, ma lo è anche l’organizzazione dei gesti nello spazio del foglio. Ad esempio, quando B. copia semplici forme geometriche non riesce a stare nei limiti dello spazio grafico, non riesce a regolare la forza del gesto grafico per cui le figure sono tondeggianti, senza angoli, macroscopiche. Come quello globale, il movimento grafico è eccessivo nella velocità di esecuzione. Viceversa l’analisi visiva delle forme è adeguata all’età. B. è restia ad eseguire attività imposte dall’esterno. Nel suo comportamento spontaneo prevale un gioco motorio che consiste in ripetute corse frenetiche, salti e rotolamenti a terra. Con lo psicomotricista B richiede instaura una relazione molto affettiva: richiede una continua attenzione, così come i bambini più piccoli della sua età. Nell’ambiente famigliare B., pone seri problemi educativi: non accetta le regole, è aggressiva e oppositiva, maltratta il cane….

L’intervento psicomotorio

In questa bambina la difficoltà di apprendimento e di coordinazione motoria sono inscindibili dalla sua impulsività emotiva e cognitiva che a loro volta influenzano anche la programmazione ed il controllo del gesto nello spazio grafico. Di conseguenza, l’intervento psicomotorio iniziale non ha represso l’impulsività di B, inibendo il suo bisogno di movimento, bensì l’ha accolta in quanto spontanea manifestazione della personalità psicomotoria della bambina. Lo psicomotricista ha partecipatoin prima persona accompagnando B in modo ludico nelle sue frenetiche scorribande e, in un secondo momento sostenendone il ritmo con il suono di uno strumento a percussione. Il suono musicale ha permesso a B. di raggiungere una maggiore regolarità delle andature e l’ha aiutata a frenare l’istintivo bisogno di accelerarle, nonché a controllare meglio l’avvio e l’arresto intenzionale del movimento. Gradatamente, esso non è stato più vissuto come fuga e provocazione da parte della bambina. A questo punto, essendo lo stato di eccitazione notevolmente diminuito, è diventato possibile proporre attività di rilasciamento muscolare e ottenere momenti di attenzione sul proprio corpo. Quindi, ’intervento psicomotorio ha potuto focalizzarsi sulle specifiche difficoltà di coordinazione motoria, in particolare quella oculomanule proponendo esercizi sulla tecnica del lancio e della ricezione della palla e sul controllo del gesto per giungere infine ad attività di motricità fine e di grafomotricità, rivolte all’acquisizione della scrittura e all’organizzazione visuo-spaziale.

Caso 2: S. è un signore di 35 anni, vittima di un incidente di moto che ha causato trauma cranico con conseguente stato di coma. Inizialmente il signor S è stato seguito in fisioterapia per il recupero dell’autonomia motoria e in seguito viene inviato allo psicomotricista per alcuni specifici disturbi neuropsicologici. Nello specifico, il signor S. non riesce ad orientarsi nello spazio: non può più uscire di casa senza essere accompagnato, perché non riconosce più i luoghi una volta a lui famigliari. Ha perso la “mappa mentale del suo quartiere e della sua città.Inoltre S. non riesce a vestirsi senza aiuto. Sebbene non abbia difficoltà di manualità fine, non sa più organizzare e coordinare i gesti nelle giusta sequenza per indossare gli indumenti in modo corretto. Presenta un deficit di memoria a breve termine. Inoltre il suo deficit visivo (definito “sindrome di Balint” che comporta una paralisi psichica dello sguardo) gli impedisce di spostare intenzionalmente lo sguardo nello spazio per esplorare attivamente l’ambiente. Per fortuna il linguaggio di S non presenta disturbi particolari tranne una transitoria e lieve anomia (talvolta non si ricorda il nome di cose e oggetti comuni).

La valutazione psicomotoria evidenzia una notevole difficoltà di coordinazione oculo-manuale, una perdita della percezione dello schema corporeo (non riesce più ad individuare le parti del suo corpo né ad imitazione semplici posture e gesti) e un grave disorientamento spaziale. Inoltre, S è in uno stato di depressione ben comprensibile.

L’intervento psicomotorio. Nel caso del signor S. vi sono da un lato i problemi della percezione del corpo dell’organizzazione dei gesti che hanno una ricaduta diretta sulle prassie dell’abbigliamento; dall’altro il deficit di esplorazione visiva dello spazio. Infine, ma non alla fine, lo stato di depressione. S ripete di continuo di non essere più come prima, di sentirsi umiliato a causa delle sue disabilità, e di non voler più frequentare gli amici di prima. La gravità della sofferenza esistenziale provocato dal danno cerebrale è da prendere in considerazione, ancora prima della riabilitazione vera e propria dei suoi deficit alfine di creare un clima di fiducia, di rassicurazione, di alleanza e di complicità con la figura dello psicomotricista. Per questi motivi si sceglie di iniziare con un ciclo di seduta in cui non si lavorerà sulle sue difficoltà, bensì sugli aspetti più sani della sua persona: la comprensione e l’espressione verbale, il  senso dell’umorismo. Si propongono giochi di ruolo in cui SI interpreta diversi personaggi reali o inventati con i quali lo psicomotricista interagisce. In quelle sedute, S dimentica la sua condizione patologica e si riesce ad instaurare quel clima rilassato, adatto per proseguire con il lavoro riabilitativo vero e proprio. Si prosegue quindi alla ricostruzione dell’immagine del corpo in una prima fase. Si utilizzano tecniche che integrano gli stimoli visivi (uso dello specchio), verbali e tattili, per la percezione delle parti del corpo, dei gesti e delle posture in modo da poter applicarle direttamente al recupero delle prassi e dell’abbigliamento. In una seconda fase, si prende in carico il deficit di orientamento spaziale con esercizi di localizzazione visiva, di memoria topografica e di rappresentazione grafica. E’ stato fondamentale anche l’aiuto dei famigliari che talvolta assistevano alle sedute e per proseguire a domicilio alcuni esercizi concordati con lo psicomotricista. Gradatamente il signor S. ha imparato nuovamente a vestirsi e al termine dell’intervento psicomotorio è stato in grado di prendere l’autobus per recarsi da casa propria in alcuni luoghi della città.

Riflessioni personali: Quando ero ancora studente all’università di Ginevra in cui ho conseguito la formazione in psicomotricità, uno tra i miei professori, che era proprio il noto e già citato psichiatra Julian de Ajuriaguerra, commentava in una sua lezione che la miglior qualità per svolgere la professione di terapeuta della psicomotricità (allora non si diceva “psicomotricista”) era l’imagination. Al momento,mi sembrò un’affermazione fuori luogo, un po’ troppo chic considerando tutto ciò che dovevo imparare. Diamine, che posto c’era per l’immaginazione? Ora, ritengo che avesse proprio ragione. Senza far ricorso alla propria immaginazione, il terapeuta (non solo lo psicomotricista, ma tutti coloro che svolgono professioni d’aiuto) ) corre il rischio che le sue proposte siano senza interesse, o peggio ancora che non abbiano alcun senso per il paziente. In tal caso, succede che ciò che si pensa di fare “per il suo bene” abbia invece l’effetto o di fargli “niente”, oppure anche “male”: “niente” quando le attività, gli esercizi richiesti sono piatti, privi di fascino, e “male” quando ci si concentra unicamente sulle disabilità operando in modo freddo e stereotipato, senza tenere conto della persona alla quale ci si rivolge. L’immaginazione va intesa come la facoltà di evocare situazioni assenti, di trasformare la realtà per alleggerirla, per “abbellirla”: essa salvaguarda dalla banalità e dalla violenza. Inoltre, è il combustibile per la creazione del progetto d’intervento: non solo quello che si può stabilire a tavolino, conseguente all’indicazione a questo tipo di terapia, e al metodo in uso, ma riguarda soprattutto l’attuazione concretissima delle attività da svolgere, seduta per seduta, attimo per attimo. Abbiamo di fronte interlocutori spesso difficili, con reazioni mutevoli e talvolta imprevedibili che occorre sapere affrontare. Il progetto d’intervento non si limita a cosa fare, ma si estende a come farlo. Questo è il lato più difficile della professione. Il come fare riguarda la presentazione pratica dell’attività riabilitativa. L’abilità del terapeuta consiste nel saper tenere uniti in un’unica mossa, l’utilità del compito riabilitativo che comporta un certo sforzo da parte del soggetto, uno sforzo senza il quale non ci sarebbe recupero, e la motivazione necessaria alla suo compimento. Ed è quest’ultima a fornire l’energia necessaria per sostenerlo. Senza interesse, senza coinvolgimento emotivo da parte del soggetto, senza desiderio per l’azione e quindi per il superamento dello status quo, il recupero non si fa, l’apprendimento non si compie. Per promuovere un desiderio di cambiamento nel paziente il terapeuta non si può sedere sugli allori mentre si deve mettere nell’ottica di reinventare sempre la propria professione… grazie alla propria immaginazione.

Anne-Marie Wille - Psicomotricista - Direttore Istituto di Psicomotricità

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